Chi sono

Stefano Ursi, classe 1979, romano. Da sempre amo la comunicazione. Video, audio, radio, siti web, tv e chi più ne ha più ne metta. E poi social e copy. Ma una delle passioni è la poesia.

Il romanesco ha un sapore magico, tutto suo. Detta da un romano, certo, questa affermazione può apparire autocelebrativa. Ma non è un caso se chi viene a Roma si innamora della città e anche di chi la abita. Con le sue inflessioni, che ricordano i film in bianco e nero, capaci di scaldare il cuore e suscitare sorrisi. E ricordi.

Ho sempre creduto nel potere della poesia, nella sua capacità di contenere e dare forma ai sentimenti, alle emozioni, il più delle volte a quelle più dolorose. Nella forza del dialetto romanesco, dei detti, dei modi di dire e del dialetto. Delle frasi che a volte ci vorrebbe un traduttore.

Romanesco: perché non delle poesie?

E allora, mi sono detto, perché non usare il romanesco (quello che senti parlare oggi da giovani e anziani a Roma) per scrivere poesie? Moltissimi illustri personaggi lo hanno fatto, ma oggi appare una ricerca di senso a questa città e agli sguardi che la animano.

Nell’era della tecnologia e dell’immagine riflessa di se stessi, quale maggiore rivoluzione può esserci se non usare quegli stessi mezzi per far tornare alla vita un genere che molti definiscono morto? Un atto rivoluzionario non sempre guarda in avanti, il più delle volte guarda indietro con gli occhi del domani.

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